Michela, la mamma di Baressa
La rubrica Sardegna in Rosa su questo blog è nata per raccontare le Donne di Sardegna. Donne forti, combattive, che inseguono i loro sogni e ci insegnano sempre qualcosa. Sono molte quelle che ho raccontato qui, e sono tantissime quelle di cui vi vorrei parlare. Solitamente sono storie di lotta, di coraggio e di lieto fine.
Quella che vi voglio raccontare oggi un lieto fine ancora non ce l’ha. Ma spero di cuore che questo mio post vogliate condividerlo il più possibile, che arrivi alle coscienze di chi ha il potere e possa intervenire in qualche modo.
Michela e la sua bambina strappata
Una bimba strappata letteralmente a sua madre. Esatto, è di questo che voglio parlarvi. In un’Italia dove tutti ci riempiamo la bocca di accoglienza e accettazione, uno Stato che ha fatto della solidarietà dei suoi cittadini un cavallo di battaglia per anni, c’è una madre alla quale viene tolta sua figlia di appena due anni e mezzo e che viene anche messa alla gogna.
Non sto parlando di una poco di buono, di una persona che ha problemi di una qualche dipendenza o di una criminale. Parlo di una madre, laureata in Giurisprudenza, che si separa dal marito, avvocato in quel di Viterbo dove lavora anche il giudice che decide su questo caso, alla quale per delle ragioni che a tutt’oggi non ci è dato conoscere viene tolto il diritto di essere madre.
Una separazione difficile, dove la donna non risulta essere tutelata
Tutto ha inizio quando nel 2016.
Michela decide di separarsi da quel marito dal quale denuncia di subire maltrattamenti.
E’ da subito una separazione travagliata. La donna non ha diritto all’assegno di mantenimento in quanto laureata e quindi in grado di lavorare. E’ costretta a tornare a vivere dai genitori in Sardegna perché la città del marito per lei, sola e senza alcun appoggio è invivibile.
Qui entra in ballo il Tribunale. A Michela viene contestato il fatto che alla bambina viene sottratta la bigenitorialità, e le viene ordinato di “consegnare” la bambina al padre che vive e lavora a Viterbo.
Michela si oppone alla decisione dell’affidamento esclusivo al padre e fa ciò che avrei fatto anch’io, ha disatteso l’ordinanza del giudice, contestandola pubblicamente.
Ma purtroppo la scorsa settimana la bambina è stata strappata alla madre ed è stata portata a Viterbo. E da quel giorno la madre non ha più alcuna sua notizia.
Separata da una figlia senza una giustificazione plausibile, se mai ne esistesse una
Michela non è incapace, non è depressa, non è inadeguata. Michela è una brava madre, amorevole. Io ci ho parlato e avrei voluto stringerla fortissimo.
Nessun giudice, nessun assistente sociale, nessun medico ha mai , e dico mai dichiarato questa donna incapace al ruolo genitoriale.
A Michela viene privato un suo diritto naturale che dovrebbe essere inviolabile, nel modo più atroce possibile.
Attraverso il potere! Un potere che viene esercitato senza tenere assolutamente conto del bisogno supremo e primario della bambina, che ha il diritto innegabile di crescere con la madre. Un diritto che non si nega neanche ai figli di madri che stanno in carcere. Quindi io non mi spiego proprio perché un’ ordinanza di questo genere possa essere anche solo emessa.
Michela raggiunta telefonicamente mi dice
“Il giudice motiva i suoi provvedimenti adducendo che sono io a negare alla bambina la bigenitorialità. Non appena, però, la bambina viene consegnata al padre, con altro provvedimento lo stesso giudice dispone che io non debba più sentire la bambina, vietandomi di contattarla anche telefonicamente. Non solo: potrò vedere mia figlia, non si sa quando, soltanto attraverso incontri protetti. In poche parole, al momento, sono completamente esclusa dalla vita di mia figlia. Infatti, non ho più notizie della bambina ormai da più di una settimana. Dov’è la tanto invocata bigenitorialità se lo stesso giudice, in nome della quale ha motivato i suoi provvedimenti, allontana mia figlia da me. In questo modo vengono calpestati i diritti sacrosanti di una bambina. Il trauma alla bambina lo sta provocando chi è deputato a garantirne il benessere psico fisico. Pur di far fare il padre al mio ex marito, si traumatizza una bambina di tre anni . Dimenticavo: per il giudice e per coloro che mi hanno “analizzato” sono una madre degna. Figuriamoci cosa poteva succedere se fossi stata etichettata come “indegna”.
Io non mi permetto di dare colpe
Non ho il diritto e soprattutto i titoli. Però ho una coscienza e sono una madre. Ho avuto 3 figlie dal mio primo matrimonio e nonostante ci siano stati dissapori con il mio ex marito abbiamo sempre messo le nostre figlie e il loro benessere al primo posto. A me pare che Michela abbia dato tutta la disponibilta’ a tutelare la sua bambina. E’ sua madre, chi più di lei può avere interesse a fare ciò.
IO credo che la bambina debba tornare al più presto dalla sua mamma, e per questo il mio appello va al papà della piccola. Dovrebbe pensare a come si sarebbe sentito lui se a due anni e mezzo gli avessero tolto la sua di mamma!
E non venitemi a dire che i bimbi non ricordano, questa bambina ricorderà tutto benissimo. Vivrà con un senso di abbandono che nessuna terapia e che nessuno potrà colmare.
#IOSTOCONLAMAMMADIBARESSA
e chiedo a chiunque legga questo articolo o venga a conoscenza di questo orrore e possa in qualche modo fermare questa tragedia, di farlo, adesso.
La Bambina di Baressa è la Bambina di tutti noi. E l’unica cosa giusta, oggi, per il suo bene è far si che torni dalla madre, che si lavori per dare un supporto a tutti e due i genitori e soprattutto si ridia a questa madre il suo diritto di esserlo!
Salve, forse se il giudice ha deciso di limitare i contatti tra madre e figlia perché avrà notato che manipolava la piccola. Viene considerato una sorta di abuso psicologico, non so se sia già considerato reato, comunque se ne parla abbastanza, se non sbaglio si chiama alienazione parentale o genitoriale o qualcosa del genere.