Corona Virus: Donne, giovan* e bambin* sempre più penalizzati
Siamo arrivate ad infiniti giorni di quarantena, siamo sfinite, esauste.
Come sempre dobbiamo dividerci tra lavoro, casa, figli ma questa volta il peso è amplificato dall’essere costretti tutti a casa.
E mentre noi Donne cerchiamo di essere concentrante al massimo per scrivere quella mail di lavoro tanto importante, la lavatrice finisce il suo ciclo, i bimbi iniziano a litigare, il marito alza la voce col collega al telefono, i figli maggiori sono collegati in video lezione e i tg parlano della Azzolina che dice che la scuola a distanza è un successo, che siamo pronti alla fase 2, che tanto ci saranno i buoni per le baby sitter, e che tutto è rosa, bello e profumato!
Chissà che film ha visto la Ministra?
Eh perché non è proprio tutto rosa e fiori, cara Azzolina! La scuola a distanza non è per niente un successo, perché le famiglie italiane non hanno tutte la fortuna di avere lo stipendio come il suo; le famiglie italiane non hanno tutte la possibilità di avere pc e connessione wifi a disposizione, ci sono famiglie che non riescono neanche a mettere il pane in tavola sa?
In Italia il diritto allo studio è sacrosanto e a detta vostra accessibile e a tutti, peccato che di fatto non sia così.
E mentre alcune famiglie italiane stanno ancora aspettando la cassa integrazione o i famosi buoni spesa, voi fate bandi per consegnare dispositivi agli alunni che però devono presentare un Isee che fa riferimento al reddito di due anni fa, che considera la presenza di un altro dispositivo in casa, senza tenere però conto del fatto che magari entrambi i genitori sono in smart working e che ci sono anche altri figli che devono seguire le lezioni online!
Insomma mentre il Governo sta pensando alla famosa fase 2, la Ministra Azzolina non ha ancora presentato un piano per il ritorno in classe, perché in Italia si sa, i figli sono un numero e praticamente mai vengono considerati una risorsa.
A tal proposito ho raccolto le testimonianze di quattro amiche, quattro donne, madri, lavoratrici che come me sentono il peso di questa situazione, perché come sempre, siamo noi a rimetterci, come sempre siamo noi donne le più penalizzate, perché se vogliamo mandare i nostri figli a scuola ce ne vogliamo liberare, se ce li vogliamo tenere a casa siamo delle egoiste, insomma in ogni caso siamo “sbagliate”!
Roberta Cannas, Avvocata
Vivo questa situazione con terrore perché la prospettiva è che per altri cinque mesi almeno, noi genitori dovremo conciliare il lavoro con la cura dei nostri bambini, che non avranno scuola, asilo, campi estivi, sport.
Non sono svedese o tedesca – o forse si, senza saperlo – ma ho sempre creduto che i bambini, in quanto individui, debbano avere una vita, sociale e di relazione anche a prescindere dai genitori e questo è, ahimè, il mio primo errore concettuale. Ho sempre creduto che siano una risorsa per la società e che i genitori siano solo coloro che li guidano nel percorso di autodeterminazione, il loro centro di riferimento educativo ed emotivo, per andare nel modo sicuri e questo è il mio secondo grande errore concettuale.
Mi sbaglio ed il modo in cui sono stati trattati i bambini, dal governo, durante questa pandemia lo dimostra.
Da sempre qualunque questione riguardante i servizi per l’infanzia è trattata come tematica “di genere” o, nel migliore dei casi, “di famiglia” ed ecco quindi che i bambini sono diventati fantasmi chiusi dentro le loro case ad aspettare che qualcosa succedesse.
E noi genitori abbiamo diligentemente obbedito e li abbiamo protetti, aiutati e supportati nonostante le paturnie per il futuro e per il lavoro.
Ma ora? Ora che si progetta il ritorno, anche se cauto, alla vita lavorativa, quali soluzioni si prospettano per loro?
Davvero non si comprende che lasciare i bambini in casa senza alcun tipo di ripresa della loro vita di relazione possa determinare un problema sociale importante almeno quanto quello sanitario? Davvero non si comprende che nel migliore dei casi, in cui i genitori possono permetterselo, i bambini resteranno per almeno otto ore al giorno con le babysitter, nel peggiore dei casi con i nonni anziani, proprio quelli che ci prefiggiamo di proteggere; è mai possibile che non si comprenda che i lavoratori sono anche genitori e quando lo sono di bambini in età scolare o prescolare si debba necessariamente fare i conti con questo dato?
So bene che vi è un’implicita risposta. Ma mi rifiuto di considerarla anche solo lontanamente tale.
Perché sono io ora che ricuso, con fermezza, l’idea di trattare il problema come un problema di pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori. Sono io che mi rifiuto di piegarmi a questa logica sessista, non tanto e non solo perché lo meritano le donne e gli uomini che si dividono il fardello della genitorialità ma perché lo meritano i bambini.
I figli e le figlie di quest’Italia vecchia e stantia in cui loro non sono un patrimonio ma una questione pratica, un problema organizzativo dei genitori da liquidare con qualche buono per baby sitter e qualche congedo parentale.
Giorgia Meli, Avvocata
I figli sono risorse, per un genitore, per il prossimo e per la vita, ma la società ci vuole costretti a viverli come limiti.
È il sistema che ostacola quotidianamente la volontà di poter conciliare la condizione di libero professionista, di docente presso Agenzia Formativa con quella di madre. È pura utopia!
Il triste momento che stiamo attraversando erige noi madri quali risorse per eccellenza, in quanto non fa altro che acutizzare le difficoltà ed i limiti con i quali ci si deve confrontare e che siamo pertanto chiamate a superare.
Quando sai unicamente con certezza a che ora ti dovrai svegliare, ma mai quanto dovrai stare fuori casa, quando la quantità delle ore lavorate non coincide lontanamente al quantum del tuo guadagno, devi rassegnarti alla circostanza che chi vuole sfidare la professione ed il desiderio di famiglia si debba piegare all’assenza di politiche sociali idonee ad attuare le minime garanzie.
Nella delicatezza della mia condizione, dovuta alla patologia della mia piccola bimba, posso testimoniare i limiti cocenti del nostro sistema scolastico, incapace di garantire la coesistenza ed il reciproco rispetto tra diritto all’istruzione e quello alla salute.
La fortuna di aver incontrato insegnanti speciali non ha impedito di fare trapelare le falde esistenti in tale contesto, completamente sordo al grido d’aiuto proveniente dai bimbi diabetici e dalle relative famiglie, costrette ogni santo giorno a ridimensionare impegni lavorativi e di vita per garantire la frequenza scolastica dei propri figli.
Mi vedo obbligata ogni santo giorno a districarmi tra udienze, lezioni, consulenze e somministrazioni di insulina a seguito di controlli glicemici in loco.
In tutto questo posso unicamente contare nel supporto imprescindibile dei miei preziosi colleghi e della mia famiglia.
La criticità figlia di questa reclusione forzata, ci ha rese ancora più fragili, assorbite tra il dovere morale di tranquillizzare i nostri figli, la responsabilità di cimentarci nella loro istruzione tramite metodologie mai padroneggiate ed il cercare di portare avanti con lucidità quel poco di attività lavorativa che ci è concessa… con la sola concessione di poterci abbandonare all’inquietudine del come sarà il nostro domani!
Non siamo in grado di poter assolvere alle incombenze economiche che uno studio ed una famiglia impongono, noi lavoratrici autonome abbiamo questo altro ingente fardello sulle spalle e sulla coscienza ogni notte prima di dormire.
Pur in prima fila nel partecipare ad uno spettacolo in cui il nostro domani, come principale protagonista, si propone di essere migliore, ho il timore che resti solo un sogno… per ora SIAMO SOLE!
Gloria Dessì, Giurista, Sindacalista, Dipendente Pubblica Amministrazione
Sono una lavoratrice del servizio pubblico, e sento pesante sulle mie spalle la responsabilità delle imprese che aspettano le mie istruttorie per poter andare avanti in questo periodo difficile. E no… non le posso abbandonare.
Sono una sindacalista, e i lavoratori in questo periodo hanno meno bisogno di me? No, semmai di più. Quelli del settore della sanità, che rivendicano giuste condizioni di lavoro in sicurezza, gli altri lavoratori del pubblico alle prese con lo Smart working e con chi – sebbene obbligato dalla legge – non glie lo vuole concedere. Altri lavoratori di altri settori che chiedono aiuto per compilare le richieste di contributo e sussidi di vario genere. E no… non li posso abbandonare.
Sono una figlia, e i miei genitori hanno bisogno di me adesso più di prima. Per la spesa, per stampare le ricette del medico in maniera tale da non dover andare in ambulatorio, per fare una chiacchierata al telefono più lunga di quella che faremmo di solito e trovare un po’ di conforto. E no… non li posso abbandonare.
Sono la moglie di un lavoratore con impresa individuale, che ha bisogno di me per scorgere la luce in questa oscurità che sta attraversando.
E sono la mamma di due bambine piccole, in età prescolare, che vogliono giocare con me, con le costruzioni, con la plastilina, con le bambole, e devono fare le attività didattiche per non perdere le competenze acquisite, e hanno bisogno di me per non diventare schiave di tablet e tv, e per fare qualche videochiamata che gli consenta di mantenere un minimo di socialità con i compagni.
E no… non li posso abbandonare.
Io non mi lamento, perché quelle che ho detto sopra sono anche le mie più grandi ricchezze: la famiglia, il lavoro, il servizio sindacale, però la fatica (e talvolta la frustrazione) me la sento tutta addosso. Ed è allora che mi piacerebbe sentire la presenza di uno Stato che mi dice: no… non ti posso abbandonare.
Ma al momento ha altro a cui pensare, e allora vado avanti con le mie forze.
Ilaria Portas, Dipendente Pubblica Amministrazione, Vice Sindaca
Ho fatto la scelta di non scegliere. Mi sono voluta regalare il lusso di essere madre, di lavorare, di fare politica. Non è mai stato facile, ma mai come oggi sento il peso dell’essere donna, mai come in questi due mesi mi sono accorta di quanto sia ampio il divario tra uomo e donna.
È come se ad un tratto avessi aperto gli occhi dopo il sonno e mi trovassi davanti un coro che mi grida: ARRANGIARÌ!
Non mi arrendo, ma tutto ciò è profondamente ingiusto: i nostri figli non sono figli nostri ma figli del mondo, un mondo che invece si ostina a schiacciare le madri.
Sicuramente l’Italia non è un Pese a misura di Figli… e di Donne!