Regionali Sardegna, conosciamo Miriam Mastinu
La campagna elettorale è nel suo pieno svolgimento e noi continuiamo a conoscere le donne candidate alle prossime regionali del 24 febbraio.
Conosciamo meglio Miriam Mastinu, 32 anni nata ad Alghero ma cittadina di Bosa, laurea in tasca e tanti progetti in testa per una Sardegna migliore:
Chi è Miriam Mastinu?
M: Sono nata nel 1987 e ho mosso i primi, più importanti passi della mia vita fra Bosa, dove vivo attualmente e dove ho frequentato il liceo classico, e Alghero, dove sono nata e dove sono poi tornata per frequentare la triennale in Urbanistica.
Laurea breve conseguita nel 2009, magistrale due anni dopo a Venezia, presso lo IUAV di Venezia, con una tesi dedicata ai territori marginali della Sardegna e alla forza delle loro risorse umane, culturali e ambientali.
Se ci fate caso l’acqua è una costante della mia vita. In tutti i luoghi in cui io abbia vissuto, durante gli anni da studentessa universitaria e poi da ricercatrice, c’è stato un mare o almeno un fiume ad accogliermi.
Alle più blasonate capitali europee, però, ho preferito stabilirmi in città come Girona, Zagabria e Cracovia, che mi hanno permesso di entrare in contatto con modelli culturali e comunitari molto differenti da quello italiano e comprendere fino in fondo cosa significhi realmente sentirsi cittadini dell’Europa, del mondo.
Confrontarmi con certi esempi virtuosi di gestione urbanistica, poi, ha rinnovato il mio interesse nei confronti di quei temi a cui ho dedicato gli anni del dottorato e che oggi porto con me anche in politica: l’accesso ai servizi, la partecipazione attiva alla comunità, la mobilità, la resilienza. Insomma, i pilastri di una società coesa, unita e sana.
Oggi, alla ricerca accademica e all’attività di coordinatrice della sede locale di Sassari dell’ADI (Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani), affianco l’insegnamento nelle scuole dei territori della mia provincia: ho iniziato con la scuola primaria, attraverso i progetti Tutti@Iscola, e poi con le scuole secondarie di I grado, dove insegno Arte e Immagine.
Perché hai scelto di candidarti?
M: Ho sempre creduto nell’importanza di fare rete e soprattutto mettersi in prima linea quando si tratta di difendere le idee in cui si crede.
Mia mamma dice sempre che sono cresciuta “a pane e politica” e in effetti è proprio così: nel 2002, insieme ad un piccolo gruppo di amici e compagni, fondavamo il circolo della Sinistra Giovanile a Bosa. Erano gli anni in cui frequentavo il liceo e le varie riforme della scuola promosse dagli allora rappresentati del governo ci avevano spinto a far sentire la nostra voce, reclamare i nostri diritti; promuovemmo infatti diverse manifestazioni e incontri.
È stato proprio quell’anno, in cui compivo 15 anni, che decisi di impegnarmi attivamente in politica. Un impegno che quest’anno si è concretizzato nella decisione di candidarmi nel collegio di Oristano, dopo essermi formata nelle giovanili dello stesso partito in cui si sono formati tanti giovani amministratori sardi (sindaci, assessori) tra i quali Massimo Zedda.
Ovviamente nel 2002 non ero chi sono oggi. In questi 17 anni ho avuto tutto il tempo di maturare e trasformarmi in un’adulta dotata di competenze specifiche che sono certa possano dare un contributo solido, attivo alla crescita della mia regione. Ho avuto l’opportunità di rimanere all’estero, ma ho deciso di tornare in Sardegna proprio perché sentivo l’esigenza di fare la mia parte affinché questa regione diventasse per tutti i sardi un posto migliore dove vivere, lavorare, costruirsi una famiglia. E anche per provare a rendere la politica un interlocutore concreto e attento, non una qualche entità astratta, avulsa dai bisogni quotidiani delle persone.
Le esperienze all’estero mi hanno mostrato che molto spesso per migliorare una situazione di disagio, di difficoltà, non servono né grandi investimenti né tecnologie supersoniche, ma semplicemente le competenze giuste e una visione d’insieme.
Una progettualità consapevole, insomma, che sappia indirizzare i fondi dove servono mantenendo sempre una visione di lungo corso, anziché concentrarsi su interventi emergenzialisti privi di una qualsiasi validità strutturale.
Credo, nel mio piccolo, di poter offrire questo tipo di competenze, di visione.
Dico “nel mio piccolo” perché non sono una tuttologa né ambisco ad esserlo. Il mio contributo alla società sarà sempre commisurato a quello su cui ho la facoltà di esprimermi con reale cognizione di causa grazie all’esperienza maturata sui libri e “sul campo”.
C’è poi un ultimo fattore che è stato determinante nella scelta di rispondere con un forte SÌ alla richiesta del mio partito di candidarmi per il rinnovo del Consiglio Regionale.
Si tratta della volontà di aggiungere una voce femminile al coro della politica sarda: nell’ultima legislatura solo 4 dei 60 consiglieri regionali erano donne, mentre la mia città, Bosa, non ha mai espresso un consigliere donna.
Questo panorama deve cambiare, e in termini strettamente numerici lo farà di sicuro grazie al nuovo meccanismo della doppia preferenza di genere che è stato introdotto per le prossime elezioni. Ma ciò che deve realmente avvenire è uno slittamento della percezione maschilista con cui ancora oggi si guarda alle donne in politica.
Avete mai notato come, soprattutto a livello nazionale, gli scontri fra politici uomini, per quanto aspri, rimangano sempre nell’ambito della fattualità legislativa, limitandosi a critiche più o meno forti nei confronti dell’operato altrui, mentre se c’è una donna di mezzo i toni vertano subito verso l’offesa personale, come se il fatto di essere donna ti mettesse automaticamente, biologicamente, in una situazione di svantaggio?
Come se, in quanto donna, tu non fossi degna di confrontarti ad armi pari con un tuo collega uomo? Succede in politica, ma in Italia vale per tutti i settori lavorativi.
Ebbene io credo che la presenza di più donne, nelle istituzioni locali e nazionali, possa dare un esempio importante, aiutando a trasmettere un’idea più moderna (oserei dire più giusta) dei diritti e doveri reciproci dei due sessi.
Il compito di noi donne è davvero arduo, perché per essere rispettate non possiamo permetterci di abbassare mai un attimo la guardia, di tentennare in nessun botta e risposta;
ma è una sfida che sono pronta a raccogliere non solo perché quando mi metto una cosa in testa non mollo fino alla fine (e guai a chi cerca di dissuadermi!).
Ma perché sono convinta delle mie competenze, idee e capacità: credo che la mia visione di donna, urbanista, ricercatrice e insegnante possa fornire un apporto prezioso alla società in cui vivo e questa è una garanzia importantissima, direi solenne per chi deciderà di darmi la propria fiducia.
Soprattutto è un tipo di solidità molto diverso da quello che scaturisce dall’arroganza di chi primeggia solo perché è in grado di urlare più forte.
A cosa daresti priorità nel caso venissi eletta?
M: Credo che il dialogo sia alla base di ogni rapporto felice. Applicando questa massima alla mia Regione, ciò significa mettere la parola “fine” alla storia di isolamento che contraddistingue molti piccoli comuni sardi.
Vuoi per frammentarietà dei trasporti pubblici, vuoi per la carenza di servizi di base in numerose località dell’interno.
Sono problematiche molto sentite a tutti i livelli della nostra società.
A partire dagli studenti, che sono costretti a trasferirsi nelle grandi città per frequentare una qualsiasi università, passando per i lavoratori, che invece devono mettere in conto decine e decine di ore di guida ogni mese per raggiungere il proprio posto di lavoro.
Per non parlare poi degli anziani e della difficoltà che incontrano nello sbrigare commissioni teoricamente banalissime, come andare alle poste o fare un prelievo di sangue, perché l’ufficio o l’ASL di riferimento non sono raggiungibili con i mezzi pubblici o sono molto lontani.
E poi ci stupiamo se i piccoli borghi continuano a spopolarsi e morire lentamente!
La nostra è una Regione impervia, le difficoltà di spostamento e di comunicazione le sono connaturati, ma ciò non significa che ci dobbiamo rassegnare alla situazione attuale.
C’è ancora tanta strada da fare sfruttando le tecnologie messe a disposizione dalla nostra epoca, che possono illuminare molte delle zone d’ombra che contraddistinguono la nostra Isola.
Mobilità interna e accessibilità ai servizi in primis, che sono anche fra le principali ragioni dello spopolamento delle aree interne dell’Isola.
Quest’ultimo tema ne richiama un altro per me cruciale, ovvero quello della valorizzazione del territorio sardo, che troppo spesso viene associato in maniera esclusiva a mare e spiagge.
In realtà ha moltissimo altro da offrire: montagne, parchi naturali, siti storici, una biodiversità straordinaria e una sterminata varietà di tradizioni agroalimentari e artigianali.
Davvero ogni borgo, in Sardegna, ha una storia da raccontare, tutta una sua serie di peculiarità artistiche, culturali, naturali da esibire con fierezza.
Valorizzare queste piccole identità è secondo me la chiave per apportare nuova linfa vitale a zone altrimenti destinate all’abbandono.
Rimettendo in moto il turismo in questi centri è possibile dar lustro alle tradizioni locali, far rinascere centri di aggregazione ed incontro, dar spinta alle iniziative culturali e creare nuovi posti di lavoro, nuovo benessere, prosperità e, in ultima istanza, favorire il ricambio generazionale.
È per questo che ho scelto come motto personale “Ogni borgo è Sardegna”: prima ancora che un motto è una convinzione radicata profondamente in me e un auspicio per il futuro di questa regione.